Camminando senza meta per la grande e cosmopolita città di Milano può capitare di ritrovarsi ai piedi della maestosità del Castello Sforzesco. Dal basso verso l’alto lo osservi e lui sembra faccia di tutto per ricordarti quanto siano grandi e potenti gli esseri umani e cosa siano stati capaci di costruire nell’arco di tutta la storia. Al di là di tutto e tutti, al di là dell’uomo stesso. Un’immensa e storica costruzione che protegge tantissimi segreti, tra cui la bellissima e mai finita opera di Michelangelo Buonarroti, la Pietà Rondanini.
Di Cristiana Zamboni
Voglio svelarti un segreto, un grande segreto, che ti aiuterà ad affrontare le prove che la vita vorrà sottoporti: devi essere gentile ed avere coraggio! Hayley Atwell
Ogni tanto hai solo voglia di passeggiare per la tua città, non incontrare nessuno e sentire il silenzio in cui cerchi le risposte a ciò che accade e sfugge al potere della tua mente e delle tue mani e Milano è la giusta scenografia di un film in cui, ognuno, può sentirsi nel suo genere preferito.
Attraversi il grande parco Sempione dove il verde custodisce l’entrata dei francesi e il momento storico che, prima ancora, fece immensa e cosmopolita questa città, in alcune ore della giornata puoi, ancora, assaporare l’oasi di pace che probabilmente respiravano anche gli Sforza.
Arrivi alla maestosità del Castello Sforzesco e sembra faccia di tutto per ricordarti quanto siano grandi e potenti gli esseri umani e cosa siano stati capaci di costruire nell’arco di tutta la storia. Al di là di tutto e tutti, al di là dell’uomo stesso. Un’immensa costruzione che protegge tantissimi segreti, tra cui la bellissima e mai finita ultima opera di Michelangelo Buonarroti , la Pietà Rondanini.
Ci si salva per i meriti del sangue di Cristo e noi sarmo salvi se in lui abbiamo creduto.Vittoria Colonna, lettere a Michelangelo Buonarroti
Michelangelo, raccontano i suoi allievi in alcuni scritti recentemente ritrovati, era un uomo dalla forza fisica e morale incredibile e quando scolpiva riusciva a scatenare, attraverso la volontà dei suoi muscoli, una potenza immensa e colpiva, con colpo deciso e preciso il marmo, proprio dove la sua mente l’aveva immaginato.
Un viso quasi sempre corrucciato con due occhi profondi capaci di trasmettere il compiacimento per se stesso e l’angoscia di vivere che caratterizza tutto il suo lavoro. Stati d’animo custoditi nelle sue poesie e visibili nella scultura, posizionata proprio davanti alla Pietà in atto di osservarla in eterno, tratta dalla maschera di cera realizzata da Michele da Volterra, l’allievo di Michelangelo.
Dilombato, crepato, infranto e rotto don già per le fatiche e l’osteria è morte, Dio dov’io vivo e mangio a scotto. La mia allegrezz‘ è la mia maninconia e‘ l mio riposo son questi disagi. che chi cerca il malanno, Dio gliel dia. Michelangelo
Michelangelo, attraverso la sua corrispondenza con Vittoria Colonna, partecipa attivamente allo sconvolgimento religioso della sua epoca ed attraversa con un suo personale principio la Riforma Evangelica e la Controriforma cattolica e lo rivolge nelle sue opere. Dopo la morte di Vittoria, il 25 febbraio 1547, sua grande amica, confidente ed il suo agàpe sentimento, all’artista viene a mancare il suo unico vero legame con la verità.
Il più grande pericolo per molti di noi non sta nel fatto che i nostri obiettivi siano troppo elevati e quindi non riusciamo a raggiungerli, ma nel fatto che siano troppo bassi e che li si raggiunga. Michelangelo
La Pietà Rondanini è l’ opera di Michelangelo che lo accompagnerà per quasi tutta la sua vita fino agli ultimi giorni prima di morire. Scritti ci lasciano notizia che il tocco ultimo dell’artista fu il 12 febbraio 1564 e lui morì il 18 dello stesso mese. Per molti addetti ai lavori quel pezzo di marmo bianco lunense di Carrara da lui personalmente scelto, custodisce il testamento spirituale dell’artista e la sua verità su Dio e sulla sua fede.
Un marmo molto particolare che assorbe e riflette la luce ed a seconda del calore, assume diverse tonalità di colore e, di notte sotto lo sguardo vigile della luna, sembra diventare fosforescente.
Ogni colpo di scalpello inflitto in quella pietra diviene esegesi per lo spettatore delle trepidazioni e i pensieri del grande Maestro, diventando scrigno del non finito della morte e della salvezza dell’anima umana.
Signore, fa che io possa sempre desiderare più di quanto riesca a realizzare. Michelangelo
Esposta in una grande stanza tutta a lei riservata in cui, se sei fortunato, puoi ritrovarti in un luogo deserto, o quasi, e provare ad imitare l’artista mentre discute con i suoi personaggi come si racconta fece nella Cappella Sistina. Spontaneamente usi un tono di voce sommesso e, comunque, hai la sensazione di disturbare.
L’odore nell’aria è strano, tra lo stantio del chiuso e le pagine ingiallite dei vecchi libri e la luce entra soffusa dalle finestre. Sarà il tempo uggioso sempre meno usuale in questa moderna Milano e quella penombra non ti fa paura anzi, ti accompagna oppure sarà il candore delle pareti che riflettono la luminosità esattamente come il marmo della statua che custodisce, candido e luminescente.
Nulla è a caso nella sala che dal 2 maggio del 2015, prima era collocata in altra sede sempre all‘interno del Castello, ospita l’opera e tutto porta ad una meditazione interiore che richiama la pace ed il contatto con un qualcosa di superiore.
L’allestimento è essenziale e la statua è posta al centro nella sala dedicata all’antico ospedale spagnolo dove venivano ricoverati i soldati colpiti dalla peste, un’infermeria allestita già all’inizio dell’età spagnola, intorno alla metà del sedicesimo secolo.
Il soffitto è completamente rivestito di affreschi, alcuni oramai lisi dal tempo, che rappresentavano le effigi degli apostoli ed alcuni nastri dipinti riportano alle parole del Credo cattolico. Fonemi che arrivano come angeli sulle pareti in prossimità della Pietà, per supportare la valenza di conforto e fede ricercata dai soldati malati e da Michelangelo – ascese al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente .
La parete in fondo rappresenta quel che rimane del grande blasone della Corona del re di Spagna in cui è possibile riconoscere il Toson d’oro sovrastato da una corona reale e, nel centro, le regioni che componevano questa nazione, il Léon, la rocca, l’oro ed il rosso dell’Aragona, le aquile che definiscono il Regno di Napoli ed altre come il giglio che identifica la Francia, infatti la Borgogna all’epoca era sotto il dominio spagnolo e l’Austria degli Asburgo.
Questi affreschi vengono completati nel 1576. Nel 1535 i sovrani di Spagna s’impossessano, dopo la morte dell’ultimo figlio di Ludovico il Moro, del Ducato di Milano.
Anche l’affettuosa fantasia che l’arte mi fece idol e monarca conosco or ben com’era d’error carca e quel c’a mal suo grado ogni uom desia. Michelangelo, Rime
Siamo troppo abituati alla maestosità delle opere michelangiolesche per non sortire uno strano effetto davanti a questa scultura michelangiolesca alta all’incirca quasi un paio di metri.
Iniziata molti anni prima, nel 1552, Buonarroti la lasciò incompiuta per poi ritornarvi alcuni anni dopo con una versione nuova. Uno scritto su questa statua la racconta come se ve ne esistessero due versioni ed è emblematico come questo pensiero si sia sviluppato intorno a chi avesse avuto la possibilità di vederle entrambe pur essendo, in realtà, una sola.
Infatti nella seconda ripresa, o versione, Michelangelo distrugge la parte superiore facendo nascere nel primo corpo di Maria quello dell’ultima rielaborazione del figlio.
Un pò come le due dimensioni dell’essere umano, quella esteriore e quella interiore, ed in quel non finito si può scoprire il leitmotiv della continua crescita e mutazione di ogni individuo in cui il cambiamento è l’incipit della perpetua riscrittura ove non si cancella il pregresso ma diviene esperienza basilare su cui appoggiare l’effige della speranza nel futuro.
Liberiamoci in fretta, siriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio alla sede celeste dove contempleremo beati l’eccellenza del genere nostro. De Immortalitate Animarum, Marsilio Ficino
La versione che ammiriamo oggi è quella che Michelangelo, riprese dopo il 1553.
Appena si entra nella sala in cui è custodita, la Pietà che ci porge le spalle. Un blocco appena accennato in cui si susseguono i segni grezzi del taglio dalla cava. Qui si può comprendere la visione dell’artista che nella scultura, come nella pittura, concepisce l’immagine nella sua visione frontale ponendo lo spettatore davanti all’opera finita.
Ma appena la circumnavighi ti accoglie tutto il trasporto di una madre intenta nel sorreggere il figlio morto in un movimento di ricercata forza fisica atta a non lasciarlo scivolare verso il terreno e trattenerlo ancora a lei, per poi trasportarlo verso l’alto, verso il Padre e, definitivamente, cederlo a lui.
Dal corpo della madre sembra generarsi un Gesù già adulto, quasi non si fosse mai staccato davvero da lei e si sia sviluppato in un tutt’uno con la genitrice. Un ritorno, nella morte, alla genesi nel corpo che lo custodì protetto e lo preparò alla vita esattamente come adesso lo prepara alla morte.
Un attimo che facilmente ci riporta quando ci esponiamo troppo al mondo e sentiamo poi il bisogno di nasconderci, di tornare all’origine e da noi stessi per proteggerci.
Le figure sono attaccate, fuse l’una nell’altra e racchiuse nel pezzo di marmo emblema dell’amore materno e divino.
Michelangelo era particolarmente devoto alla figura di Maria e, secondo il Vasari, l’opera non aveva un reale committente ed è più affidabile il pensiero del Vasari che la destina alla sua tomba.
Per capire la Pietà Rondanini uno deve girarci attorno. Deve guardarla nei dettagli e deve vedere il tipo di lavoro che ha fatto lo scultore. Questa progressiva scarnificazione, questa autocancellazione. La morte che si annulla e si consuma nell’infinita misericordia di Dio. Un grande spirito religioso quello di Michelangelo e a questo tipo di riflessione lui aveva dedicato la sua vita. Antonio Paolucci
Il primo proprietario della Pietà, risaputo per certo, fu il marchese Giuseppe Rondinini, nome traslato poi in Rondanini, e l’unica data certa sul loro possesso della scultura è il 1807. Un’opera che segue la famiglia del marchese negli anni a venire perchè non riconosciuta al Buonarroti e definita da Albacini come un prodotto di moderna fattezza e quindi di scarso valore. Il suo pellegrinaggio procede fino al 1904 quando il Pricipe Odescalchi la vende a Sanseverino Vimercati che, nell’immediato dopoguerra, la mette all’asta e la città di Milano se l’aggiudica.
Nel 1952 entra a far parte delle Raccolte civiche del Castello Sforzesco diventando l’unico segno tangibile per la città dell’esistenza del maestro che non lavorò mai per i meneghini e non venne mai in queste terre.
Strano provare ad immaginare Michelangelo ormai ottantenne, emanciato e vecchio, con la barba ed i capelli bianchi, quasi assomigliante ad una versione del Mosè. Un pò ricurvo, imbronciato e con lo scalpello in mano che parla alla sua statua esattamente come fece con il suo di Mosè.
La Pietà riporta nei suoi personaggi alcuni pentimenti dello scultore, infatti il velo della Vergine è segnato da tratti di una passata mano che posizionano il viso in un’altra angolazione, così come il viso di Gesù sembra aver una seconda fronte. Probabilmente Michelangelo decide, in un secondo tempo, di riportare l’amore divino ad una dimensione più umana in cui il Figlio volge il suo sguardo verso quella madre che insignò tutta la sua vita a Dio e le concede un saluto tutto a lei riservato.
Le mani ed i volti suggeriscono un quid di non espresso e lo stare fermi ad osservare l’opera, concorre a quella parte interiore che per paura o non voglia, proteggiamo da ciò che ci circonda ad emergere prepotente lasciandoci impotenti e soli di fronte alle emozioni.
Il non finito della Pietà Rondanini in realtà, appare più come un finito completo in cui è possibile rivenire un consapevole e maturo Michelangelo che esprime un nuovo libero arbitrio da se stesso e dal suo lavoro arricchito da una spiritualità sicuramente trafitta, ma più delineata e l‘opera ne incarna l’emanazione più toccante e casta di quella cognizione ove l’arte michelangiolesca tocca il culmine del suo genio e del suo talento.
Il Cristo non si eleva già morto ma bensì appare ancora agonizzante e Maria cerca in tutti i modi di caldeggiarlo e proteggerlo con l’accennata e stessa espressione di tutte quelle madri che, in tutta la storia, hanno provato non solo pianto e sofferenza nel partorire un figlio ma anche forza e speranza.
Il Buonarroti pensava, plausibilmente, al suo estremo saluto mentre la scolpiva trovandosi a ripercorrere tutta la sua vita, le sue opere e la sua ricercata solitudine.
Una solitudine che l’ha salvato dal genere umano del suo tempo e, vicino al tramonto e di fronte alla sua ultima opera, alfine apprende quale sia l’ essenza stessa della vita e di colui che venne per purificare dai peccati e come Maria Maddalena fece coi suoi capelli, così le mani dell’artista accarezzano e scolpiscono l’oramai quasi completamente usurato pezzo di marmo.
Talmente povero di materia che, l’artista, s’impone di concluderne almeno la parte inferiore così che sia pronta per la sua finale giaculatoria.
La Pietà Rondanini dell’ultimo grande Michelangelo non doveva arrivare fino a noi, infatti le sue ultime volontà chiedevano che fosse distrutta insieme a tutte le altre opere rimaste nel suo studio. Averla qui, in questo Castello milanese che ci riporta ad epoche lontane pullulanti di ideali e cambiamenti volti a render grande questo lembo di terra avvolto per tre quarti dal mare, è ciò che più si avvicina ad un miracolo casuale.
Ultima volontà di un Dio lontano che sembra voler portare agli occhi dell’uomo la sua volizione e la sua esistenza esprimendo, attraverso il geniale talento di un uomo in carne ed ossa, l’unicità di ogni vita umana.
Donandoci un’icona tangibile e resistente nel tempo in cui la preghiera di un uomo converge in un ultimo atto dove la sua vita, le sue opere ed il suo incessante bisogno di risposte a cui nessuno ha mai dato parola certa, interpretano la parte di un ascetico abbraccio per l’umanità intera.
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