Jean Michel Basquiat, il fragile muro dell’arte

Ci sono artisti che godono di una rara e dimenticata virtù, la fragilità. Siamo fragili di fronte alla vita ed alla morte e perfino davanti noi stessi ed alle nostre emozioni. L’artista, se pensiamo a colui che riesce a sfiorare e valicare il confine tra realtà e oblio, si ritrova fragile di fronte ad un successo anelato e rincorso. Quell’Olimpo che, una volta conquistato, lo mette di fronte alla precarietà del successo stesso. Jean Michel Basquiat è qui che rappresenta, come altri artisti prima e dopo di lui, la peccaminosa virtù definita fragilità in tutta la sua essenza.

di Cristiana Zamboni

Siamo tutti fragili nei confronti della vita e degli eventi ed ognuno risponde a questa peculiare caratteristica dell’essere umano in modo totalmente diverso. Chi si prodiga per celarla ed assopirla, chi la scava per farne un bagaglio elettivo e chi, incapace di contrastarla, si lascia trascinare trasformando, inconsciamente, una qualità in un inferno senza fine. Un limbo a cui cedere solo attraverso il pagamento di un dazio consistente. La storia ci novella di come ci siano stati personaggi capaci di vendersi l’anima al diavolo pur di non esser considerati fragili fino alla cessione immediata della propria vita che, assuefatta e sempre in astinenza, ormai e seppur giovane, aveva già prosciugato tutte le forze.

“Penso a me stesso come a un essere umano intelligente e sensibile, ma con l’anima di un pagliaccio, che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante.”

Jim Morrison

Ci sono artisti entrati ed usciti dal firmamento del successo alla stessa velocità di una stella cadente quando la osserviamo per esprimere un desiderio e Basquiat è una di quelle orbe scintillanti meteore, incoronato ancora troppo giovane con la stessa corona che spesso rappresentava nei suoi graffiti e disegni.

Five Fish Species, Jean Michel Basquiat 1983 Photo web

 

Quando si muore a ventisette anni uccisi da se stessi e alla ricerca di un qualsivoglia silenziatore che rimetta pace tra le proprie fragilità o che addirittura le metta a tacere così che ciò che si appare diventi la reale essenza di ciò che si è, si entra nella leggenda del Club 27. Vi si ritrovano personaggi come Jim Morrison, Amy Winehouse, Brian Jones, Kurt Cobain ed altri, per non dimenticare Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, alias Masaccio. Giovani re di talento equiparati da qualità come l’intelligenza e la bellezza e da svariate forme di  ribellione che li porta ad altrettante forme di autolesionismo che cambiano e seguono la cultura giovanile.

“Ci sono troppe mediazioni; troppe parole, idee e teorie si frappongono tra l’osservatore e l’oggetto della contemplazione.”

J. Schnabel

Personalità ricche di peculiarità insolite e provocatorie in cui il talento, la cui presenza è tangibile e reale, si trasforma in una condanna che non riesce a sottostare alle leggi dell’artista, ma si ritrova alla mercé del mercato, dei critici e delle mode.

“In questa città sei schiavo del fattore riconoscimento. Parte del lavoro degli artisti è esporre l’opera in modo che io posso vederla. Io mi considero una metafora del pubblico. Io sono un occhio pubblico, un testimone, un critico. Quando guardate un’immagine per la prima volta, non dovete perdere di vista la barca, state molto attenti, potreste avere davanti l’orecchio di Van Gogh.”

Dal film Basquiat diretto da J. Schnabel 1996

Locandina del film su Basquiat Diretto da Julian Schnabel 1996 Photo web

Julian Schnabel nel 1996 gira il suo film più famoso proprio in omaggio alla figura dell’artista incompreso pur essendo estremamente noto, incarnata dall’amico artista Basquiat. Sguardo fedele di un’epoca molto controversa ed incompleta che, tramite le percezioni ed i pensieri di uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, espone al pubblico in chiave universalmente comprensibile, l‘intricato ma fortemente in crescita mondo dell’arte.

Schnabel e Basquiat hanno vissuto e creato insieme, si sono confrontati e raccontati in una New York prolifica e fuori dagli schemi, fortemente volta al futuro ed all’avanguardia in un momento in cui essere artista significava esporsi, provare nuove tecniche e cercare nuovi linguaggi e la creatività si poneva in collisione con il conformismo, con il mondo della pubblicità e con il mercato artistico che pretendeva di assogettare i gusti e decidere i bisogni dei consumatori.

“Ho iniziato ad interessarmi ai graffiti, ero molto affascinato dai disegni che vedevo per la strada e sotto la metropolitana. Erano la cosa più bella che avessi mai visto. Volevo che la gente si sentisse libera di fare esperienza dell’arte senza sentirsi inibita”.

K. Haring

 

Jean Michel Basquiat nasce a Brooklyn il 22 dicembre del 1960 in una famiglia complessa, suo padre è haitiano ed incapace di trovare un qualsiasi punto di contatto col figlio cresciuto in una cultura completamente metropolitana e la madre portoricana che lo sostiene sempre ma, fragile psicologicamente, è spesso in ospedale. Già da bambino diventa socio del Brooklyn Museum.

Intelligente ed intuitivo dimostra fin da piccolo  una grande abilità nel disegno tanto da essere subito accettato alla City As School, rinomata scuola per bambini dotati.

“Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure, spinge a volerle leggere ancora di più.”

Jean Michel Basquiat

Basquiat in versione writer Photo archivio web

 

A quindici anni, dopo la separazione dei genitori, scappa di casa, il suo spirito è troppo ribelle e non riesce ad andare d’accordo col padre, probabilmente violento. Incurante di qualsiasi regola, si ritrova a vivere per strada e frequentare i writers di New York.

“Facciamo tutto quello che vogliamo sulla Terra e poi confidiamo nella grazia di Dio con la scusa che non lo sapevamo. “

Da una novella scritta da Basquiat per il giornale della scuola nel 1977

Ha un disperato bisogno di accettazione e d’identificazione, mescolati all’affannosa ricerca di qualcuno a cui potersi attaccare affettivamente, caratteristica alquanto tipica della sua età che trova parzialmente pace quanto conosce Al Diaz, writer anche lui conosciuto con lo pseudonimo di Bomb-One.  Il loro percorso artistico a cui si legheranno anche altri compagni di scuola, nasce da una novella che lo stesso Basquiat scrive per il giornale della scuola, una non troppo velata denuncia contro il conformismo di massa, la politica e perfino le varie religioni che porta il protagonista a diventare seguace di una nuova idea, quella di SAMO.

 

I loro principi vengono enunciati in piccoli libretti in una sorta di fiction dove si predilige la libertà totale di espressione senza condizionamenti, soprattutto nell’arte, sottolineando che il talento non si può legare alla mercificazione economica, ai conformismi di costume e tradizione e a filosofie o religioni che instillano il senso di colpa facendo leva sulla moralità attraverso la paura e le falsità.

SAMO© color xerox work exibition at A´s, Arleen Schloss, New York City, 1979 photo wikipedia.org

 

 

 

I due ragazzi sono strettamente legati dalla passione per la creatività e per la strada ed insieme, creano e fissano sui muri, scritte e poesie che racchiudono il loro pensiero. Si firmano  Samo  il cui significato è Same Old Shit,  sempre la stessa merda.

 

 

 

 

 

“Una notte stavamo fumando erba ed io dissi qualcosa sul fatto che fosse sempre la stessa merda, The Same Old Shit. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! È così che iniziò, come uno scherzo tra amici, e poi crebbe.”

Jean-Michel Basquiat, intervista al Village Voice, 1978 dal libro di Phoebe Hoban, È nato SAMO, in Basquiat – Vita lucente e breve di un genio dell’arte, Penguin Books

 

Nel 1978 le scritte e i disegni di Samo viaggiano su quasi tutti i muri del Lower East Side di Manhattan e diventano famose insieme al Radiant baby di Haring nell’ East Village di New York, il simbolo della nuova, strana e misteriosa moda creativa americana. Perennemente sotto la dipendenza di sostanze, nel giovane Basquiat cresce anche la voglia di diventare un vero artista, colpevole, probabilmente, la modesta attenzione della stampa verso i loro graffiti. I due amici decidono di prendere strade diverse, Al Diaz si dedica alla musica e Jean-Michel perfeziona la sua tecnica mentre sente crescere i suoi conflitti interiori alla ricerca di un equilibrio tra la voglia di successo ed il mondo che ha sempre denigrato e che deve, senza compromessi a suo favore, accettare.

 

“Stavamo facendo qualcosa di completamente nuovo per la cultura dei graffiti, ma non per il pianeta. Per noi non era così diverso dalle persone che scrivevano dichiarazioni politiche sui muri dell’antica Roma.”

Al Diaz

 

Nel 1980, dopo aver abbandonato definitivamente la scuola senza diplomarsi, frequenta da non iscritto la School of Visual Arts ed incontra Keith Haring. Orgoglioso delle sue origini  si scaglia contro il razzismo ed il mercato e la corona, unita al marchio del copyright, diventano i loghi del suo disprezzo. Mette in luce la falsità edonista della società in cui vive attraverso semplici segni inferti sui muri ma mai casuali,  simboli di un’arte carica di colore e rabbia che, ad un primo sguardo, riportano a gesti e disegni infantili. Eppure una certa ricercatezza dei contenuti appare immediatamente se osservati con un occhio esperto sui fatti contemporanei ed è proprio grazie all’inserimento ben studiato di lettere e frasi lasciate a metà oppure parzialmente cancellate, che le sue immagini attirano l’attenzione .

 

Usa un linguaggio vivace e ricco di simboli usuali che affonda le sue radici in un passato che, con un salto temporale senza limiti e spiegazioni, riporta ad un futuro non troppo impossibile se osserviamo la società moderna come un grafico di Wall Street.

 

 

 

Quel che appare certo a chi di successo se ne intende è che le immagini di  Basquiat dimostrano un talento dirompente che esprime emozioni d’immediata lettura e comprensione, tanto che a soli vent’anni, è già indicato come una leggenda metropolitana e ricercato dai più scaltri curatori che vedono subito in lui una nuova spinta al mercato dell’arte.

“Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. Certo, può anche capitare di dover strisciare furtivamente in piena notte e dire bugie alla mamma, ma in verità è una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo né ostentazione, si espone sui migliori muri che una città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.”

Banksy

La definita Street-art è ancora giovanissima all’ epoca di Samo, nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta come strumento comunicativo delle disillusioni di massa giovanili che non trovano ascolto e risposta tra la politica e la società più adulta.

Negli anni Ottanta si affina con gli stencil per una maggiore velocizzazione del lavoro, essendo arte ancora illegale, il writer é attanagliato dalla possibilità di esser visto, denunciato ed arrestato. Fino ad arrivare ai giorni nostri in cui, oltre ad esser definita arte non solo urbana, si arricchisce di contenuti sociali conformandosi, in completa sintonia, con l’arredo urbano. Un’arte caratterizzata dalla sua massima fruibilità da parte di qualsiasi tipo di  pubblico, sempre più vasto che anche se impossibilitato, che può goderne perchè meno elitistica e selettiva ma, sicuramente, più immediata e di semplice intuizione.

“L’arte che guardiamo è fatta da solo pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell’Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari. “

Banksy

Jean-Michel Basquiat, Crown Hotel (Mona Lisa Black Background), 1982 photo web

Un’arte, anche se molti ancora non ne accettano l’esistenza, che si sprigiona tra le vie delle città colorando la vita dei passanti rilasciando un profumo che cerca di scuoterli dalla solitudine cittadina e prova a condividere i loro stessi inganni e le loro stesse paure. Sprizzi di colore ben assestati che cercano di raccontare le difformità di una globalizzazione che non trova luogo, di dolori sotterranei che non trovano giustizia e di inciviltà tenute ancora celate.

“I graffiti sono uno dei pochi strumenti che hai quando non hai quasi nulla.”

Banksy

Inizialmente è questo il senso dell’arte di Basquiat che ancora cerca di sopravvivere vendendo le cartoline che disegna nei locali di New York frequentati dallo show-business dell’arte, fino a quando una sera, entrando in un locale di Soho, riesce a venderne qualcuna a Andy Warhol, preludio di una grande amicizia  e collaborazione che nascerà qualche anno dopo con il suo ingresso nella Factory.

Basquiat è un giovane piuttosto scaltro corredato da un’eleganza e bellezza che gli donano un’ aurea un pò sconclusionata e pigra, ma di certo ammaliante. Una bellezza dal profumo rivoluzionario che molto attira per la sua intuitiva intelligenza e valorizzata da un incipit sempre un pò sfuggente ed indifferente a ciò che lo circonda. Nell’intimità della sua cerchia di nuovi amici, l’artista è capace di passare ore a leggere libri di filosofia e discutere di politica sociale esprimendo una particolare e consapevole maturità interiore.

“Io non penso all’arte quando lavoro. Io tento di pensare alla vita.”

Basquiat

Riconosce il suo valore sia personale  che artistico. Osserva il mondo che lo circonda, cavalca l’onda dei primi subwaydesigners ed è consapevole di fare un’arte di sicuro successo e vuol, sempre più fermamente, entrare nelle alte sfere del mercato. Senza avere un soldo in tasca vive di notte e frequenta, comunque, i locali di tendenza  per entrare in contatto col mondo che anela.

“Sono convinto che l’arte nasca dall’esigenza, a mio modo di vedere, primordiale di dare una risposta alla fragilità individuale ed a tutti i limiti dell’esistenza”.

Roberto Gramiccia

Nel 1980 partecipa alla grande mostra al  Times Square Show organizzata da Haring e  quindici delle sue opere esposte ottengono un successo straordinario spalancondogli ufficialmente le porte dell’Olimpo dei più ricercati artisti contemporanei.

The Field Next To the Other Road, 1981 photo web

Ama le donne, i soldi e la droga, consolabili placebi che gli donano forza e vitalità mentre allontanano il disagio e la rabbia. Va oltre le regole per seguire le regole del vivere alla moda e bazzica gli anticonformisti più conformisti del momento, narcisisti dipendenti dalla voglia di successo e d’eternità, diventando Basquiat stesso parte del grande sogno americano. Un sogno fragile e borderline.

Autoritratto Jean Michel Basquiat 1981 Photo web

 

Nel 1981 espone a Modena. Dipinge la sua arte non più tra le pareti delle metropolitane ma in loft offerti dai galleristi che lo accudiscono, indossando abiti di Armani ed osserva le sue opere scalare velocemente le vette del mercato. Le sue quotazioni sono altissime e l’amore lo accarezza grazie alla breve liason con Madonna e con Susanne Mallouk, fino a quando anche loro lo lasciano per non essere risucchiate in quel suo mondo fragile ed in continua ricerca di anestetico.

Jean Michel Basquiat “La Gioconda (Mona Lisa)” (1983) Photo web

Il passaggio dalle bombolette spray ai pastelli ed acrilici è veloce, pur non abbandonando mai l’universo metropolitano e la street- art di cui ne è il caratteristico esempio l’opera Mona Lisa. Cancellata e celata dietro segni inferti con forza, ripropone il suo segno primitivo, ricercato e curato in cui affiora, tra istinto ed emozioni intense impresse sulla tela, un’affinità con l’Espressionismo astratto in cui genialità e sapere portano la sua arte verso nuovi confini, riscrivendola con un linguaggio sempre gestuale ma emancipato e conscio.

Jean -Michel Basquiat ed Andy Warhol fotografati a New York nel 1985 Photo web

Rincontra Andy Warhol. Creano e lavorano insieme dando vita alla più interessante collaborazione artistica di tutti i tempi. Un’amicizia vera in cui l’artista trova quell’affetto sempre cercato. Si spingono a provare l’uno l’arte dell’altro, quasi a creare opere davvero complete. Si placa la sua rabbia e trova un flebile equilibrio tanto da decidere di disintossicarsi. Ma la critica non è concorde, lo definisce la “mascotte di Andy” e  lui ricade nel baratro.

La sua fragilità torna ad urlare ferocemente. Baquiat fugge in droghe sempre più pesanti per stordirsi e far tacere il mondo attorno a lui dove, di nuovo, si sente estraneo ed incompreso. Warhol decide di lasciarlo andare al suo destino, sempre troppo stordito dalle droghe e autolesionista, ormai è quasi incapace di produrre opere.

“A J.M. Basquiat fu affibiata l’etichetta di graffittaro. Il totale travisamento e la manipolazione di questo ipotetico “gruppo” è un esempio perfetto dell’arte dei primi anni Ottanta. La gente era più interessata al fenomeno che all’arte in sè”.

Keith Haring

Gli ultimi anni della sua vita li passa nell’oblio delle sue fragilità in compagnia dell’unica sua speranza, un giorno,  di potersi riappacificare con l’amico Warhol.  Il 22 febbraio del 1987 Andy muore e per Jean Michel è l’inizio della fine. Comincia a nascondersi, lo si vede sempre più raramente in giro e se capita è a bordo della sua bicicletta vestito d’Armani. Sempre più magro e sempre più lontano dalla realtà, rimangono, alla memoria le ventitre mostre personali, le quarantatre collettive nel mondo  e più di cinquanta articoli mentre è ancora in vita.

Angelo ribelle Jean Michel Basquiat torino.repubblica.it

 

 

Jean Michel Basquiat muore il 12 agosto del 1988 nel suo studio di Great Jones Street stroncato da un’overdose. Da allora disegna, dipinge, scrive e suona jazz nell’olimpo del Club 27 ed è sepolto al Green Wood Cemetery of Brooklyn.

 

 

 

 

 

“La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza. “

Dal film Into the wild

 

La fragilità è la  virtù che nasce dalla sofferenza del vivere e, capita, che ci spingiamo oltre ogni limite per poterla combattere avvertendola crescere dalla sofferenza del vivere stesso. Siamo fragili davanti a tutto, anche ad un sogno che si realizza. Fu così per Jean Michel Basquiat, l’artista fragile che dipinge e scrive poesie con la romantica idea di come le persone potessero diventare famose.

 


Bibliografia

Julian Schnabel, un vulcano di intimità, film ed arte

È nato SAMO, in Basquiat – Vita lucente e breve di un genio dell’arte, Phoebe Hoban-Penguin Books, 2004

Le strade parlano. una storia d’Italia scritta sui muri di Imarisio Marco

Basquiat di Leonhard Emmerling Taschen 2015

Graffiti. Arte e ordine pubblico Alessandro Dal Lago, Serena Giordano Il Mulino 2016

Basquiat. Graphic biography, Paolo Parisi, Centauria 2018

Elogio alle tag. Arte, writing, decoro e spazio pubblico Agenzia X 2018


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