Amore e Psiche, l’eterna novella del Canova da ammirare

“Sono un Dio, ma per amor tuo, mi fisserò nel marmo in eterno.” Sono le parole che sembrano sgorgare inarrestabili quando ti ritrovi davanti alle sculture di Antonio Canova. Colui che fu capace di trasformare la materia in sentimento ed emozione, ed il silenzio di un passato ormai andato in materia da circumnavigare e osservare. Favole con una morale che echeggia eternamente nella mente di chi cerca un senso a questo mondo che ciclicamente si ripiega sui propri errori. La scultura di Canova rende tangibili i personaggi antichi e con Amore e Psiche, ci regala l’eterna favola da ammirare.

Di Cristiana Zamboni

 

“Quel giorno ho scoperto che le nostre metà non combaciano perfettamente e solo un abbraccio può farci combaciare.

D‘Avenia

Amore e Psiche , Antonio Canova dettaglio photo www.wikipedia.org

 

Quando non riesci ad addormentarti la sera e chiedi al tuo vicino di cuscino di raccontarti una storia, la lista delle possibili favole si racchiude in leggendarie fantasie che, a volte, si ha la strana sensazione abbiano creato più danni che speranze nelle poi cresciute orecchie di chi le ascoltava.

Partiamo dalla candida Biancaneve, generoso essere dotato di rara delicatezza e capelli così disciplinati che, non ci è ancora dato capire come, restano bloccati in un sottile nastro rosso anche quando danza con uccellini e caprioli. Per passare alla fortunata narcolettica Bella addormentata che, quasi sicuramente, non ha mai avuto bisogno di pregare qualcuno per narrarle una favola così da conciliarle il sonno. Anzi, quando finalmente si lascia andare alle forti e possenti braccia di Morfeo, arriva sempre lui, il Principe in calzamaglia a svegliarla. Per proseguire con la moltitudine di Cenerentole sempre sorridenti ed invidiate per la loro incommensurabile capacità di perdonare, senza il minimo rancore.

 

“Scegli da sola qual è la tua via.”

Dal cartone animato Pocahontas

 

Dimenticandoci che esistono fiabe antiche, le noiose leggende epiche studiate su minuscoli banchi di un qualsiasi liceo e che mettono al mondo i  miti impossibili, dove i personaggi hanno il loro lieto fine solo perchè si comportano da umani.

 

“Coraggio di quei giorni miei. Coscienza, voglia e malattia di una canzone ancora mia, ancora mia. Nasce qui da te, qui davanti a te, Giulio Cesare.”

Giulio Cesare, Antonello Venditti

Novelle tradotte con difficoltà e studiate con riserva, magari preparando una maturità sospirata e accaldata, ma che arricchiscono la vita di giovani speranze in un futuro sfogliato tra supereroi e eroine che si salvano da sole. Comprese soltanto molto tempo dopo, quando appare chiaro che la vita di quei guerrieri è una rara chicca da imparare quasi a memoria, esattamente come il tormentone dell’estate della maturità, quella della libertà.

Quelle rievocazioni che insieme all’insegnamento delle loro gesta, riportano al prezioso lato umano che spesso si nasconde con l’andare degli anni. Personaggi che esistono dondolando fra un’inconscia lotta interiore tra l’odio per quegli dei che gli hanno tolto la possibilità di vivere lieti, e l’affannoso cammino fra battaglie e Sibille a caccia dell’eternità.

 

“Per unanime riconoscimento, la mitologia delle varie popolazioni è un formidabile aiuto per la comprensione dei meccanismi psichici che muovono gli individui e le stesse collettività; per noi europei è molto importante la mitologia dei greci, un complesso sistema di miti, favole e tragedie nelle quali sono evocati i principali nodi della psicologia e degli affetti umani.”

Corrado Augias e Marco Vannini, Inchiesta su Maria, 2013

 

Uomini, mezzi uomini, principesse e guerriere che navigano nei dubbi e scalpitano nelle loro perplessità. Pensano con astuzia, superano prove e si lasciano trasportare dai sentimenti.

 

“Se Orfeo non si fosse girato, se Psiche non avesse tentato di conoscere, allora noi non avremmo creduto alla forza del loro amore.”

Apuleio

 

Amore e Psiche, o Venere ed Eros, è una di queste meravigliose ma possibili favole. La cui morale è semplice, dare all’altro la possibilità d’esser felice così che, contaminandoci col suo sorriso, possiamo esserlo anche noi. Del resto amare vuol dire non dover mai dire mi dispiace.

Una leggenda che Antonio Canova rende tangibile, possibile ed eterna. Una scultura pura che ingloba nel suo essere primigenio di marmo bianco, un‘ arte da vivere e non solo con la vista ma anche con il tatto. Un mito da circumnavigare e in cui osservare la storia da tutte le sue prospettive e sfaccettature. Una meraviglia nata dal semplice e geniale uso che un uomo sapeva fare del suo talento in un stretto e intimo collegamento tra ciò che la sua mente e la sua anima creavano in lui e la sua realizzazione. Il suo diventare reale.

Un pezzo di marmo che, ancor prima di lasciarti in eredità la bellezza e l’armonia della forma umana a cui appartieni, ti regala la massima in cui amare è cosa buona e giusta.

 

“La forma plastica non rappresenta la figura, ma la sublima, ne trasforma l’essenza, [… ] la cala e la isola nello spazio reale e, isolandola, la idealizza.

Canova

 

Un marmo scavato quasi unico nel suo divenire sostanza, un insieme di forme misurate e perfette che riportano ad altre incredibili opere scultoree di grandi geni dell’arte. Le novelle mitologiche furono per gli artisti del passato, le prescelte per narrare allo spettatore l’essenza dell’uomo e provare a dimostrargli quanto forti e sublimi possano essere le emozioni che riesce a provare.

Reazioni affettive simili ad una giostra che a volte gira veloce e altre lenta, nella speranza che siano, anche solo un pochino, migliorate a fine corsa. Basti pensare al movimento scenografico tipico del genio di Giovan Lorenzo Bernini che ancora oggi, tra le sale di Galleria Borghese a Roma, pone l’attenzione sulle passioni umane. Poco evolute rispetto agli scritti antichi e sempre contemporanee nei loro eccessi.

Basti pensare a Michelangelo ed al suo David, a quel suo restare immobile nell’eternità osservando il presente così da decidere con calma ed in piena autonomia, l’esito migliore per la sua battaglia.

 

“La tendenza al mito è innata nella razza umana. È la protesta romantica contro la banalità della vita quotidiana.”

William Somerset Maugham

 

Antonio Canova con l’opera Amore e Psiche narra il mito di Apuleio in cui un dio si innamora di una fanciulla umana.
Una storia già sentita per certi versi ed un amore già visto per altri, se non fosse che in quelle forme ed in quel semplice ed immobile attimo in cui un viso si avvicina all’altro e si prostra nel sorreggere un corpo che, con piena fiducia gli si affida,  vi è concentrata tutta la storia di quella rara umanità che non si accontenta di essere una semplice creazione di Dio e non accetta la superficialità dell’attesa della morte, ma confida nella propria tenacia per scovare una risposta al suo esistere.

L’essere umano è imperfetto, e tutto sommato sembra che lo siano anche gli dei, ma se viene spinto dall’oblio della passione, ha la capacità di creare la perfezione. E forse, è proprio quello che lo differenzia da quegli esseri soprannaturali che siedono comodi su troni illuminati e da lì guardano l’evolversi dell’umanità in un continuo scorrere di immagini e vite, senza un attimo di pubblicità.

Antonio Canova nasce a Possagno il 1 Novembre del 1757. Si ritrova presto orfano di padre e  viene cresciuto dal nonno scarpellino che subito si accorge del potenziale artistico del nipote. Nel 1779 si trasferisce a Roma dove studia scultura antica e conosce i massimi esponenti dell’arte neoclassica.

Antonio Canova, Autoritratto, 1792, olio su tela, 68×55 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi photo www.wikipedia.org

L’abilità del raro talento con Canova riesce a trasportare la scultura e la storia classica ad una indolente ma tempestiva rinascita, affidando le sue opere alla subitaneità del tempo presente che ben si mescia alla refrattaria flemma del sogno, accompagnando e seguendo l’artista nella sua ricerca di venustà e quintessenza.

E nel gruppo scultoreo di Amore e Psiche l’artista riesce a raccontare, in un’unica immagine, tutta la novella del mito. Ogni dettaglio è studiato e posizionato con cura al fine di crearne il perfetto bilico, tenendo sempre in considerazione la sensazione di chi guarda e si concentra nel movimento senza fine dell’opera. Un flusso leggiadro di due corpi che crea e attua il nascere di un amore, proprio come accade in quel primo intimo incontro fra due corpi che, nella faticosa passione del desiderio, arriva a concretizzare l’atto dell’unirsi e, tutto sommato, è una cosa che succede agli essere umani.

Amore e Psiche è, come la gran maggior parte delle opere canoviane, una scultura che non puoi osservare solo da un’angolazione ma devi viverla, attraversarla e girarle intorno. Lo spettatore si muove in uno spazio che a 360°, si concede al volere di quel pezzo di marmo abilmente lavorato, dove due corpi si fondono in una perfetta forma ad X.  E l’effetto finale si centra nell’ineccepibile rappresentazione di un traguardo in cui la continua ed estenuante ricerca umana trova la sua stabilità in un esemplare equilibrio che genera un sentimento di rara lietezza.

 

“Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione.”

Apuleio

 

Le vene e la lucentezza di quel marmo supportano, come raramente accade, l’artista nel suo favoleggiare di un dio umanizzato dalle labbra di una fanciulla. Un dio a cui non è concesso di conoscere il bisogno di provare amore ma che, nel suo profondo, sente nascere l’ardente ed istintivo desiderio di sentirsi solo carne attraverso la palpabile, seppur solo immaginata, impressione di due labbra che si toccano. Brivido che, di conseguenza, implica un non senso di un dio che vuole mutarsi in uomo.

Un essere superiore incoerente e stranamente capace di amare umanamente che, in un atto che pare spontaneo, richiama a sé la forza delle sue ali per dare stabilità e rendere eterno il suo, irripetibile, attimo terreno.

Un divenire che fra muscoli, vene e ormoni crea quel concedersi di lei che si tende a lui e, con le sue braccia, disegna un cerchio predisposto ad avvolgere e preservare quell’istante. Lei è umana e si concede con totale trasporto al desiderio di lui in un atto d’amore dotato di erotismo spirituale.

Una mutazione logicamente impossibile di quel marmo che attraverso l’emozione diventa sangue ed ingloba una reale ma rara capacità umana di provare amore più di quanto l’uomo stesso voglia riconoscersi.
Le ali di lui si protendono verso l’alto e le gambe di lei, ricoperte dal drappo, spingono verso il basso lo sguardo, creando un aire verso l’esterno che trova il suo massimo punto d’incontro all’interno. E l’osservatore si ritrova catapultato verso l’infinito, in un eterno centro dove il tutto della storia dell’umanità ha origine e compimento.

 

“Bevi, Psiche, e sii immortale! Amore non sarà mai sciolto dal vincolo che lo unisce a te. Da oggi voi siete sposi per tutta l’eternità.”

Apuleio

 

Antonio Canova realizza Amore e Psiche tra il 1787 ed il 1793 e l’istante da lui scelto per ricordare la novella dell’Asino d’oro oggi esposta al Louvre, gli fu commissionata dal colonnello John Campbell. Si vocifera che per realizzare l’opera l’artista si sia ispirato ad un affresco di Ercolano visto durante un suo soggiorno nella antica terra di Resìna, in cui una donzella si concede ad un fauno nella stessa posa di Amore e Psiche giacenti. Ma del resto sono moltissime le opere che nella storia ricordano il mito di Apuleio in un languido abbraccio, anche se, la novella racconta la sua fine in un modo alquanto diverso.

E seppur Canova trasforma il mito assogettandolo alla sua arte nella forma, va ricordato che l’essenza del concetto non muta. L’artista vuole esprimere la forza sensuale dell’amore che porta chiunque lo provi ad una perfezione infrequente di sentimenti e gesta. Cerca di dimostrare che l’uomo può essere sì un principio di rifinitezza e idealità, e favole che si realizzano nel benevolo desiderio che tutto il mondo giri in un saldo ed armonico equilibrio, ma è nulla senza la sua peculiare forza, passione e sopravvivenza. Perchè è in lui che si concentrano il principio e l’inizio di tutte le cose ed è il suo riuscire a provare sentimenti di inconsueta potenza che lo differenzia, senza mai renderlo per questo inferiore, da colui a cui anela assomigliare.

Amore e Psiche è una tra le opere create dal Canova più conosciute e ricordate al mondo forse proprio per quel suo ineccepibile modo di riuscire a scemare la sua arte di quella fredda raffinatezza e compiutezza di cui spesso è stato, ed è, un pò criticato. Qui vi è il caldo di un abbraccio, la passione carnale e quel desiderio istintivo, impetuoso ed emotivo tanto biasimato dagli dei, seppur lo desiderassero anche loro, che porta l’uomo ad unirsi ad un suo simile.

 

“La bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori dal comune, che il linguaggio umani appariva insufficiente e over non solo a descriverla, ma anche solo a lodarla.”

Amore e Psiche, Apuleio

Canova riporta in auge un’arte passata che molto si affida agli accademicismi e ai canoni della bellezza, che lasciano ben poca libertà alla fantasia creativa individuale dell’artista e definita,  in modo spregiativo, Neoclassicismo. Un movimento artistico che si muove e si sviluppa in una realtà che denigra il virtuosismo eccessivo del barocco e, grazie alle recenti scoperte degli scavi di Pompei ed Ercolano, ritrova nell’arte classica degli antichi greci, quel senso di bellezza e compiutezza che manca al pensiero sociale e culturale del periodo.

Johann Joachim Winkelmann, massimo teorico del neoclassicismo, scopre che la vera grandezza dell’uomo è rappresentata dalla cultura dell’antica Grecia ed è convinto che una nazione può tornare ad esser grande e florida solo se si affida alla loro storia e ai loro ideali. E Canova, nellasua arte, incarna tutte regole definite dal teorico. L’artista condivide il pensiero che l’anima dell’uomo è allietata e resa vera sì dall’irruenza delle emozioni, ma ancor di più, quando raggiunge la calma dell’armonia interiore e solo in quel momento riesce ad esprimere tutta la sua grandezza.

“Come il mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata.”

Johann Winckelmann

Ecco che le opere neoclassiche di Canova si frizzano proprio nel momento in cui il soggetto ha superato o sta per incamminarsi verso l’apogeo della storia da raccontare. Momento in cui l’azione è fatta, il pensiero espresso ed il corpo è in quello stato di sublime riposo intento solo a mostrare la sua fierezza e forza fisica. Nobiltà d’animo, pacatezza orgogliosa, entità di bellezza sono caratteristiche che all’uomo non devono mai mancare e sono raccolte in contorni ben definiti e perfetti. Ed anche solo un panneggio diventa simbolo cardine di un movimento e un’idea da creare con calma, in cui il pennello e lo scalpello si muovono all’unisono con il magistrale senso dell’universo.

Concetti che legano e riportano l’artista verso quella bellezza ideale rinascimentale in cui nulla vi è di così bello e aureo in natura che l’artista, affidandosi alla luce della bellezza divina, non possa immaginare e quindi rappresentare. La purezza delle forme è nel pensiero di colui che crea, ed attraverso quell’immagine può raggiungere la perfezione.

E così, l’abbraccio di Amore e Psiche trasporta chi guarda in un imperituro ed eterno attimo in cui le favole non sono impossibili, ma solo un pò faticose. Istante in cui la fiaba deve essere raccontata con voce soave perchè è il momento in cui Morfeo si mostra e la pienezza di una giornata si palesa fra le parole di novelle antiche che gli ricordano che può sempre rigenerarsi sereno fra le braccia di un qualche dio che, nonostante speri che gli uomini non siano mai perfetti come loro,  sarà sempre lì a vegliare sul suo sonno, lasciandolo libero di sognare di un bacio e di un mitico domani, ma questa è tutta un’altra storia.


Bibliografia:

Amore e Psiche, Lucio Apuleio con introduzione di Leonardo Paolo Lovari

Scritti di Antonio Canova, a cura H. Honour e P. Mariuz

Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura. Di S. Androsov, F. Mazzocca e A. Paolucci. Ediz. illustrata del febbraio 2009

Canova, l’ultimo capolavoro. Le metope del tempio. Catalogo della mostra 2013


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